A SCUOLA DI FEROCIA CON I VIDEOGAME...



Ma io dico, si può scrivere una tale stronzata? Era un po' di tempo che, fatta eccezione per la solita Rockstar che finisce praticamente sempre nel mezzo delle discussioni a tema, non sentivamo parlare del binomio più amato dagli ignoranti (in materia): videogiochi e violenza.
La combo però, questa volta è arrivata devastante: servizio in prima serata durante il TG5, seguito da trasmissione mattutina in diretta su Radio24, copertina di Panorama e prima pagina su La Stampa. Il tutto per celebrare Rule of Rose che, a dirla tutta, non è neanche questo grandissimo gioco rispetto ai mostri sacri del genere (ovviamente sconosciuti ai vari autori dei servizi), che hanno guadagnato cover ben più specializzate in altri momenti, per evidenti meriti videoludici. In realtà la mia voglia di affrontare il discorso per la miliardesima volta è pari a zero, ma effettivamente in questo caso la situazione è un tantino differente dal solito. Fermo restando che non credo minimamente che Sony non abbia deciso di distribuire il gioco per i suoi contenuti (tanto più che dopo questo sparlare, se ne venderanno carrettate), trovo assolutamente ridicoli i commenti letti e sentiti in questa due giorni veramente paradossale. Fantomatici esperti che sbandierano a destra e sinistra studi che "dimostrerebbero" tutto il male che è racchiuso in diaboliche righe di codice. Associazioni di mamme preoccupate per il futuro dei figli, destinati a intraprendere una brillante carriera da teppisti solo per aver giocato a GTA, che invece non si preoccupano dei messaggi ben più pericolosi, trasmessi da quell'ormai (quasi) inutile contenitore di ignoranza che è la televisione. Intanto però, i videogiochi prendono piede nelle scuole, entrando a far parte del corso di studi di alcuni licei italiani, sono al centro dell’attenzione di università ed enti come il CNR, in grado di produrre persino un prodotto ai livelli di tanti esperimenti commerciali, al termine di un percorso di studi dedicato di fatto a figure professionali di un'industria che ancora non c'è. Io, per non sbagliarmi, anche ieri ho fatto le mie cinque ore su Shadowmoon, nel tentativo di livellare con gli amici uno shamano. Giusto il tempo di fare un paio di missioni con un obiettivo ben preciso: sterminare dozzine di felini di diverse taglie, per portare pelli e frattaglie al trainer, in cambio di esperienza, soldi e qualche nuova skill. Dopo ogni abbattimento, grasse risate e danze di gruppo, tra svariate carcasse sbudellate, di questi poveri animali dal destino già segnato al momento del mio login. Al termine della battuta di caccia, trovata una locanda, ho potuto finalmente andarmene a letto. Ho preso Mimmo, il mio splendido certosino fake (ha la coda tigrata, ma si vede poco) e come tutte le sere ci siamo infilati sotto le coperte insieme, addirittura senza dover caricare prima The Sims 2 Pets.

1 comment:

  1. Come disse Luigi Garzya, calciatore-difensore sicuramente inconsapevole di creare un aforisma di rara bellezza, ”sono completamente d’accordo a metà col mister”. Infatti, condivido quasi tutto quello che hai scritto, per lo meno fino a quando dici che l’industria non c’è. Io penso che il problema sia un altro e che abbia due facce, proprio come quelle di una moneta.

    Falsa, però.

    Faccia numero 1: stampa de-specializzata. La presenza più o meno constante dei mass-media alle presentazioni dei prodotti videoludici porta a formulare l’ipotesi che, all’interno delle testate generaliste e nelle redazioni televisive, ci sia qualcuno in grado di capire qualcosa di videogiochi.
    Mettiamo pure che non sia così, opzione estremamente verosimile, e che non esista un giornalista bipede (specifico, perché ne esistono molti che stanno costantemente a quattro zampe) in grado di scrivere due righe coerenti sui videogiochi. Potrebbe essere un peccatuccio accettabile, se non fosse che i referenti ci sono, le fonti cui rivolgersi per avere notizie ufficiali idem, quelle cui domandare giudizi, pareri, indipendenti e soprattutto qualificati, pure.
    Basta avere semplicemente voglia di fare bene il proprio lavoro di giornalista.
    Notizia/verifica delle fonti/approfondimento.
    Sembra facile ma non è difficile (questa la disse Alberto Tomba quando sciava…) soprattutto quando hai a che fare con un’industria come quella dei videogiochi che non vede l’ora di comunicare con l’esterno, di andare in televisione o sui quotidiani, di farsi conoscere da tutti. E questo ci porta proprio alla…

    Faccia numero 2: l’industria videoludica. Se la smettesse di preoccuparsi principalmente dei fatturati e di comportarsi in maniera furbetta, riuscirebbe finalmente a maturare e ad essere considerata come la forza che è e cioè un settore di business estremamente attivo, forte, in grado di generare oltre 700 milioni di euro nel 2005. L’Aesvi (Associazione Editori Software Videoludico Italiana), che sta facendo un ottimo lavoro, prova a presentare l’industria a chi non la conosce mostrando la faccia “buona” dell’industria, quella creativa che attira ricercatori universitari o coinvolge attori e registi nella lavorazione dei giochi, ma evita sempre di dire che ci sono ANCHE titoli per adulti che trattano tematiche forti, controverse. Dimenticando per un momento le valutazioni qualitative, va detto che questi prodotti esistono comunque e che rappresentano un segmento importante di un mercato che non è composto unicamente da cani virtuali, Pokémon o innocui simulatori di vita. Fingere che questi giochi non ci siano, nasconderli in cantina come se si trattasse di parenti scomodi che gli amici non devono incontrare, è un’ipocrisia bella e buona, equivalente a quella portò l’industria dell’home video a fare finta che il mercato del porno su videocassette non esisteva, mentre invece rappresentava il reale motore (i markettari direbbero il “driver”) alla base della diffusione dei videoregistratori Vhs. - Non è una cazzata che mi sono inventato io, per quanto siano poco gradevoli, sono dati che arrivano da studi di mercato seri e approfonditi.-

    Ora, che Sony Italia si dissoci dall’operazione ha pochissima importanza perché il gioco è pubblicato e distribuito da altri, tra l’altro non nuovi a queste trovate. Anzi, la “dissociazione” di Sony sa tanto di operazione paracula per evitare che l’augusto nome di pléistesciòn sia trascinato nel fango, per quanto sia stata proprio Sony (casa-base in Giappone, però) a concedere l’autorizzazione alla pubblicazione. Il caso è arrivato addirittura in Parlamento ed è probabile che RoR finirà per essere sequestrato e, dopo adeguato iter di ricorsi, appelli alla libertà creativa, d’espressione, eccetera, dissequestrato e che venderà il canonico “botto” di copie come è successo al primo Resident Evil (oggettivamente, un gran prodotto multimediale) o a Carmageddon (oggettivamente, una grandissima stronzata multimediale).

    In mezzo a tutto questo bailamme ci sono, come sempre, gli appassionati giocatori che non avrebbero comunque degnato di interesse RoR (date un occhio in rete ai voti medi qui http://www.gamerankings.com/htmlpages2/930042.asp?q=rose per farvi un’idea) e che ancora una volta passeranno per essere una categoria dementi sotto assedio, gente incapace di difendersi da sola dal Dottor Male.

    Ovviamente potrei sbagliare e magari siamo davvero così fragili, chissà…

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