[SERIE REVIEW] ALTERED CARBON (S.1)



Lo sci-fi è tornato di moda e questo è un gran bene. Io sono più schierato dalla parte del fantasy classico ma in fondo la scelta è sempre stata tra queste due opzioni, trattandosi di sogni di bambino, giochi, immaginazione e tutto il resto. E Netflix è arrivata come al solito a calare io suo asso.
Una volta c'era Blade Runner che per carità, bello come vi pare, tuttavia non così epico come molti lo dipingono. Sarà che a differenza di orchi, nani, elfi e compagnia, un universo di quel tipo per un ragazzino era difficile da comprendere e pure da amare ma insomma, niente di cui innamorarsi. Per questo prima di tornare sul nuovo capitolo che vede divisi i miei amici al 50% tra capolavoro e cagata di proporzioni bibliche, mi sono ripromesso di riguardare l'originale con qualche anno di più sulle spalle. Nel mentre però è arrivato Altered Carbon con il suo trenino di hype e la full immersion è stata rapida ma non indolore. Altered Carbon è infatti una serie con molti alti e bassi che restituisce quell'ansietta che un setting del genere per me deve comunicare, trattando pure una tematica decisamente pesa tipo la vita eterna, raggiunta per mano dell'uomo ma pure una serie di meh che dipendono non tanto dalla serie stessa ma da questioni molto più terra terra tipo attori che recitano con il culo e passaggi talvolta fin troppo ingarbugliati per non farti pensare di spegnere la TV. Partiamo dalla fine: la tematica, come si diceva, è piuttosto interessante: la coscienza umana è ora contenuta in pile che si impiantano alla base del collo. Il corpo diventa quindi una custodia che si può rovinare, cambiare, buttare a patto che la pila di cui sopra resti intatta. Andata quella si muore sul serio, di morte vera. Per il resto, c'è MasterCard, nel vero senso della parola. Insomma, le corporazioni di Blade Runner non ci sono ma c'è il ricco che paga per menare a morte le puttane o per avere un armadio pieno di corpi di riserva più o meno a modo, se non il proprio stesso con relativo backup di carne e ossa.


Nel mentre i poveracci che schiattano in una San Francisco scura e spettrale (ma pure bellissima artisticamente parlando), finiscono per ritrovarsi figli di 12 anni ammazzati male, riportati in corpi di vecchiardi, magari pure dell'altro sesso. Insomma, un bel casino, nel mezzo di quale si trova una specie di ninja chiamato Kovacs, tirato fuori dal carcere 250 anni dopo la dipartita della sua custodia e infilato nel corpo di un culturista svedese con una sola espressione, ingaggiato dal più potente cristiano dell'universo intero per scoprire le ragioni del suo omicidio (una morte vera in realtà, scongiurata dal full backup cui accennavo). Gli attori sono la seconda questione da affrontare, insieme ai personaggi da loro interpretati. Il migliore senza ombra di dubbio è Chris Conner che interpreta un hotel Poe, l'intelligenza artificiale dietro un albergo, divenuto base dei buoni. C'è poi la versione orientale di Kovacs di Byron Mann, che convince al contrario di quella di Joel Kinnaman, tanto grosso quanto espressivo. James Purefoy è sempre figo e c'è poco da dire e restando in tema figaggine, viene fuori una Martha Higareda che non le dai una lira e poi si spoglia. Allora le perdoni pure di essere al livello di Kinnaman. Tornando a quel che avviene nei 10 episodi della prima stagione comunque, c'è da sottolineare ancora una volta la cervellotica trama che non perdona distrazioni di sorta ma poi, dopo la metà, riesce a catturare con un paio di tocchi veramente top, mettendo insieme tutti i pezzi un po' alla volta e dando un senso a cose che di senso, apparentemente, ne avevano poco ad una prima occhiata. Bene insomma, nel complesso, anche se di sicuro non parliamo di un prodotto per tutti.

VOTO 7/10

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